Una teoria di ordine superiore della coscienza emotiva

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 25 febbraio 2017.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE/DISCUSSIONE]

 

Sebbene gli eventi più significativi della nostra vita siano sempre caratterizzati dall’esperienza cosciente di emozioni, affetti e sentimenti, troviamo ancora pochi punti di contatto fra le teorie degli stati emotivi e le teorie emergenti della coscienza nelle neuroscienze cognitive. Il motivo principale di questa distanza non è difficile da accertare, perché è evidentemente nella concezione prevalente delle basi neurali delle emozioni e della coscienza. La maggior parte dei ricercatori considera le risposte emotive animali e tutta la gamma di stati affettivi umani assimilati a queste reazioni, quali programmi innati di attività prevalentemente stereotipata di circuiti sottocorticali, in contrapposizione con la neurofisiologia della coscienza umana costituita da processi di ordine superiore in gran parte mediati dalle connessioni rientranti corticali o, al più, talamocorticali. Di fatto, lo studio delle basi neurali di coscienza ed emozioni è rappresentato da due settori di ricerca tradizionalmente distinti e separati.

Storicamente, senza tornare troppo indietro nel tempo, si può dire che da quando William James, padre della psicologia scientifica americana ha riconosciuto la natura di processi alla coscienza e alla memoria, la tendenza prevalente della ricerca è stata quella di indagare questi due processi nell’ambito delle funzioni cognitive, riservando alle emozioni il ruolo che nell’Ottocento avevano gli istinti; ossia spinte biologiche prevalentemente manifestate da assetti funzionali del corpo. In sostanza, si riproduceva la dicotomia culturale ragione/passione. Gli studi di Walter Cannon e poi di Hans Selye sulla neurofisiologia dello stress, fornendo le prime evidenze neurobiologiche delle basi di rabbia e paura, a partire dalla reazione animale di fight or flight, hanno approfondito questo solco, aprendo la via ad uno studio separato delle emozioni, essenzialmente fondato su paradigmi di risposte studiate negli animali.

Joseph LeDoux, ritenuto uno dei massimi esperti di basi neurali della paura e di funzioni emozionali dell’amigdala, ha deciso di infrangere la barriera che separa nella ricerca la coscienza dall’affettività emozionale, proponendo una visione teorica apparentemente rivoluzionaria, ma a lungo meditata alla luce di numerosi risultati sperimentali.

Ricordiamo che Joseph LeDoux ha fatto parte del gruppo degli allievi del Premio Nobel Roger Sperry guidato da Michael Gazzaniga, che ha studiato i pazienti con cervello diviso, fornendo un contributo straordinario allo sviluppo della concezione attuale della fisiologia del cervello umano. In quegli studi, che costituiscono un bagaglio di conoscenze imprescindibile per ogni studioso di neuroscienze, furono affrontati e risolti alcuni annosi problemi relativi alla struttura di processi della cognizione e della coscienza.

Ora LeDoux, con Richard Brown in un saggio che sarà pubblicato su PNAS USA, sostiene che quegli aspetti dell’esperienza che chiamiamo emozioni sono stati cerebrali di ordine superiore e non sono la semplice espressione di schemi di risposta prefissata di reti sottocorticali gestite da programmi caratterizzati dal DNA delle singole specie ed ampiamente conservati nel corso dell’evoluzione. Tali stati di alto livello di integrazione avrebbero in alcune attività corticali la componente principale e, secondo i due autori, sarebbero in rapporto con una serie di funzioni che convenzionalmente si attribuiscono, quasi localizzandole, alla corteccia cerebrale.

LeDoux e Brown sostengono che la differenza in termini neurali fra esperienze emozionali e non emozionali non è data dal fatto che le prime hanno origine sottocorticale e le seconde dalla corteccia, ma dal tipo di input elaborato dalle reti corticali. I ricercatori propongono delle modifiche della higher-order theory, una delle più seguite teorie della coscienza, per consentire a questo impianto concettuale di spiegare l’autoconsapevolezza, e poi estendono questo modello interpretativo alle esperienze emotive coscienti.

(Joseph E. LeDoux & Richard Brown, A higher-order theory of emotional consciousness. Proceedings of the National Academy of Sciences USA - Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1619316114, 2017).

La provenienza degli autori è la seguente: Center for Neural Science, New York University, New York, NY (USA); Emotional Brain Institute, Nathan Kline Institute, Orangeburg, New York (USA); Philosophy Program, LaGuardia Community College, The City University of New York, Long Island City, New York (USA).

Per aiutare a collocare la proposta teorica di LeDoux e Brown si propone l’esposizione sintetica dei due principali quadri di riferimento per le teorie della coscienza, tratta da un articolo al quale si rinvia per una trattazione approfondita dell’argomento. Lo stralcio, qui di seguito proposto, segue nel testo originale ad una discussione su pseudo teorie ampiamente divulgate:

“Passando, invece, ai seri sforzi di elaborazione teorica compiuti in seno alla ricerca neuroscientifica, per comprendere cosa sia la coscienza e come sia prodotta dal cervello, si possono riconoscere due grandi quadri di riferimento teorico ai quali è possibile ricondurre la maggior parte delle ipotesi con un preciso fondamento sperimentale:

Integrated Information Theory (IIT) e

Global Workspace Model (GWM).

 

2.1. Integrated Information Theory (IIT). In breve, la IIT impiega un’espressione matematica per rappresentare l’esperienza cosciente e deriva previsioni circa quali circuiti cerebrali siano essenziali per produrre questa esperienza. Fra i maggiori sostenitori della IIT vi è Giulio Tononi, psichiatra e neuroscienziato che conosciamo ed apprezziamo da tempo, da quando era alla Scuola Normale Superiore di Pisa, prima dei suoi studi alla Wisconsin-Madison sulla genetica del sonno e sui modelli artificiali delle connessioni talamo-corticali. Tononi, che è stato a lungo collaboratore di Gerald Edelman, ha lavorato a questa teoria con il già menzionato Christof Koch dell’Allen Institute for Brain Science di Seattle.

 

2.2. Global Workspace Model (GWM). Il modello funzionale GWM della coscienza si sviluppa in direzione opposta, perché il suo punto di partenza è costituito da esperimenti comportamentali che manipolano l’esperienza cosciente di persone volontarie, in una condizione di prova rigorosamente definita e minuziosamente controllata, durante la quale si cerca di identificare le aree dell’encefalo attive.

La prima formulazione di un modello funzionale della coscienza basato su uno “spazio di lavoro globale” si deve a Bernard Baars, uno scienziato cognitivo del prestigioso Neurosciences Institute di La Jolla in California, il quale ha concepito la sua idea prendendo spunto da un’esperienza sviluppata in seno all’Intelligenza Artificiale (IA). In sintesi, in un progetto di IA, un insieme di programmi specializzati poteva accedere ad un deposito comune di informazioni detto “lavagna” (blackboard): Baars ha ipotizzato che la “messa in onda dei dati della lavagna” attraverso un sistema di computazione, sia cibernetico sia biologico, che metta a disposizione di sistemi specializzati e integrati il contenuto informativo, costituisca il nucleo funzionale della dimensione consapevole dell’agire psichico. In altri termini, la coscienza consisterebbe nella condivisione estesa a tutto il cervello dell’informazione che è nel buffer di memoria della “lavagna”.

Un tale buffer neurale, che possiamo immaginare come una memoria a breve termine attiva o come una working memory globale, secondo il GWM non si limita ad elaborare gli stimoli sensoriali in entrata, ossia l’input percettivo recente, ma costituisce un sistema in grado di richiamare memorie, anche risalenti ad un passato remoto, riportandole nell’attualità funzionale. Una volta che l’informazione è stata “caricata” in questo spazio di lavoro, uno spettro di potenti processi cognitivi ne può fare uso. Ad esempio, oltre a generare azioni finalizzate, può essere inviata ad un set di circuiti specializzati per l’elaborazione del linguaggio verbale, consentendone l’uso per la comunicazione, o trasmessa ai sistemi neuronici dedicati alla pianificazione, perché la impieghino in un ragionamento in proiezione futura o, infine, immagazzinata nella memoria a lungo termine”[1].

LeDoux e Brown introducono il loro saggio osservando che gli stati emozionali della coscienza, o quelli che sono tipicamente chiamati “sentimenti emozionali”[2], sono in genere considerati espressione di programmi biologici innati, consistenti in patterns di connessioni funzionali sottocorticali, e trattati come intrinsecamente differenti dagli stati cognitivi della coscienza quali quelli legati alla percezione di stimoli esterni. In proposito, si può osservare che la paradigmaticità di questa distinzione è particolarmente rilevante, se si pensa al filone di studi inaugurato da Francis Crick che, basandosi sulla percezione visiva, ha definito nella frequenza γ un correlato elettrofisiologico corticale della coscienza. In altri termini, la coscienza di tutti questi studi consiste nei processi che sembrano accompagnare l’attenzione consapevole all’elaborazione percettiva di uno stimolo del mondo esterno. Non tanto diversa concettualmente è la ratio che ha ispirato molti degli studi delle connessioni talamiche quale base funzionale della coscienza.

Gli affetti e le emozioni, per LeDoux e Brown, presentano, al pari di altri aspetti dell’esperienza psichica, componenti elaborate automaticamente fuori della consapevolezza e componenti presenti alla consapevolezza del soggetto. La tesi sostenuta dai due studiosi è che le esperienze coscienti, indipendentemente dal loro contenuto, originano da un unico sistema neuronico cerebrale.

Se si accetta questa ipotesi, si potrà facilmente comprendere e magari condividere quanto postulato da LeDoux e Brown, ossia che la distinzione fra stato emozionale (affettivo) e stato non emozionale sia essenzialmente data dal tipo di input che viene elaborato da una rete generale (globale) della cognizione, necessaria per la mediazione dell’esperienza cosciente.

Tanto definito, ci si potrà chiedere qual è il ruolo che LeDoux, grande studioso dei circuiti sottocorticali delle emozioni che interessano aree quali amigdala, talamo e striato, attribuisce a questa componente nella genesi del fenotipo funzionale tipico. Si legge: “Sebbene i circuiti sottocorticali non siano direttamente responsabili dei sentimenti coscienti, forniscono input non coscienti che si fondono con altri tipi di segnali neurali nell’assemblaggio cognitivo delle esperienze emozionali coscienti”.

Nell’esposizione delle argomentazioni a sostegno della loro ipotesi, LeDoux e Brown difendono la validità di aggiustamenti - per i quali si rimanda al testo dell’articolo originale - da loro apportati alla higher-order theory della coscienza, al fine di spiegare l’autoconsapevolezza e, a partire da questo paradigma esplicativo, dare conto delle esperienze affettivo-emotive coscienti.

Lasciando all’opinione del lettore il giudizio sul valore di questa proposta teorica, ci limitiamo ad apprezzare l’utilità per la riflessione e il dibattito di un’autorevole e compiuta formalizzazione di idee che circolano da tempo nei laboratori e fra i ricercatori.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-25 febbraio 2017

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Note e Notizie 13-09-14 La coscienza e un interessante nuovo libro di Dehaene.

[2] Nel testo: emotional feelings. La traduzione di feelings non sempre corrisponde all’ambito semantico intercettato in italiano dalla parola “sentimenti”; talvolta, come in questo caso, sarebbe meglio tradotta dal termine affetto, ossia: affetti emozionali o affetti emotivi.